Erzählungen von Giuseppe Beppino Dallacosta - Kindheitserinnerungen - Teil 2

Untenstehend einige Kindheitserinnerungen (in italienischer Sprache) von Giuseppe Beppino Dallacosta.
Danke Beppino, dass du deine Erinnerungen mit uns teilst.

LUGLIO - MESE DELLE ''PERATOLE''

Mi ricordo quando da ragazzini (11 - 12 anni circa) con la ''busaca'' a tracolla ci facevano arrampicare in cima alle alte ''peratolare'' a raccogliere i frutti; fatica bestiale con ''el piocio dela mel'' che ci appiccicava sul corpo. Si lavorava a ''contratto, 100 lire la cassetta (harraz): eravamo bravi se ne raccoglievamo 8 - 10 al giorno. Poi la sera ci trovavamo in piazza e facevamo a gara chi ne aveva raccolte di più. C'era poi una qualità di pere chiamate ''decani de luglio'' proprio per il fatto che si raccoglievano nella prima decade di luglio; erano più gustose della ''peratole'' e pagate meglio.

MATRIMONI DI UNA VOLTA A LAGHETTI

Gli abiti delle giovani erano ovviamente di colore bianco, simbolo di purezza e castità. Anche lì le qualità dei vestiti si differenziavano a seconda dello status famigliare. C'erano poi le signore non più giovani che ... avevano perso il treno anni addietro e si avvicinavano all'altare con abiti a colori tenui tipo verdino o celeste; ovviamente non potevano essere candidi a causa dell'età, altrimenti qualcuno avrebbe potuto borbottare sull'eventuale mancata illibatezza. Sarebbe stato bello un abito vistoso magari di colore rosso porpora tipo quello portato dalla signora Gradisca nel noto film 'Amarcord' - capolavoro di Fellini -; ma non volevano magari mostrarsi infuocate.... d'amore. 
Le donne non più giovani, ma non ancora zitelle, desideravano quasi più il vedovo allo scapolo; quest'ultimo aveva ormai le proprie abitudini ed un carattere difficile da modellare. Il vedovo era forse il preferito, l'arte del savoir-faire è molto importante e poi non portava strascichi sentimentali al contrario dell’uomo separato.
C'erano infine le vedove che vestivano un abito grigio chiaro o scuro oppure marroncino; comunque colori castigati. Chissà il perché, forse c'era un'inconscia paura nei confronti dell'officiante.
Ritornando sulle giovani spose vestite di bianco c'era sempre qualcuno-a che annotava sul calendario il giorno delle nozze. Passavano i giorni e se dopo 7 - 8 mesi nasceva il pargolo subito pronta la notizia ufficiale; il bimbo era settimino. Fin qui tutto bene, ma la curiosità morbosa di qualcuno era tale da voler approfondire se era vero o meno e con una scusa si receva in casa del nascituro, portando qualche regalino, ed osservare il neonato. Se per caso le unghie delle manine fossero cresciute in modo normale, ecco la bugia. Quello fu un matrimonio frettoloso e riparatore.
Come sono cambiati i tempi.

CHE BELLI I MATRIMONI RELIGIOSI DI UNA VOLTA

Nel dopoguerra tutti i matrimoni erano solo religiosi; era raro che fossero unicamente civili.
Nel periodo di quaresima era vietato sposarsi in chiesa; solo dopo Pasqua era consentito. Maggio era il mese preferito (gli ormoni erano alle stelle) e solitamente veniva celebrato di sabato per diversi motivi; forse il più importante per non far perdere tempo ai lavoratori o contadini in genere; così la domenica si potevano riposare soprattutto chi aveva bevuto troppo durante la festa di nozze.
I ragazzotti, pur di racimolare qualche soldo, si organizzavano prendendo una corda sulla quale venivano attorcigliati dei fiori freschi del momento, solitamente i fiori bianchi (simbolo di purezza) dei ''ciasponari'' o fiori reperiti nei vari orti del paese. Al centro della corda veniva appeso un cartello con la scritta ''W gli sposi'' era il cosiddetto ''tiro della soga''. All'uscita di chiesa degli sposi, i due testimoni a fianco degli stessi dovevano versare ai giovani che tenevano la corda tesa, un bel soldo, più che soldo qualche banconota prima che la lasciassero cadere a terra.
Se il matrimonio era ricco (qualche bacan) c'erano più tiri alle soghe. Era una specie di pagamento del pizzo. 
Un giorno assistei ad un allestimento della soga e vidi che sul cartello di due giovani c'era scritto ''W I Ssposi''; feci notare loro il doppio errore di grammatica. Ormai la frittata era stata fatta, non c'era più tempo di riscrivere il cartello. Mi ricordo che tutti si misero a ridere, ma non seppi se ricevettero l'obolo spettante.
Gli altri ragazzotti, ed erano tanti, si mettevano di fronte alla porta di chiesa, un po’ distanti; sapevano benissimo che arrivava il lancio dei confetti da prendere possibilmente al volo.
A quel tempo la pavimentazione del piazzale antistante la chiesa era formata da ghiaino ed i confetti cadevano per terra; si raccoglieva tutto -più ghiaia che confetti- e si mettevano in tasca. C'era sempre quello più grande e forte fisicamente che aveva la meglio il quale a furia di spintoni e graffi sulle mani dei più piccoli si riempiva le tasche.
Il matrimonio ricco si identificava dalla qualità dei confetti o caramelle (i cosiddetti bombi da nozze). I più benestanti lanciavano i classici confetti bianchi con la mandorla all'interno; mentre quelli meno abbienti distribuivano caramelline colorate o riso per taroccare.
Terminati i vari tafferugli si andava tutti nella pineta dietro le scuole, svuotavamo le tasche ed in mezzo alla ghiaia cercavamo i confetti conquistati con grande fatica.

Foto: Tiro della soga – Matrimonio Rita e Rolando Zorz

BAGOLARI E BAGOLE

Il “Bagolar” nome scientifico “Celtis australis” è, come noto, l'albero simbolo di Laghetti.
Nessuno sa quanti anni possano avere i nostri bagolari?
I bagolari non crescono in prati aperti ma su rocce o sbucano da muri come appunto i nostri due. Li chiamano anche spacca-sassi proprio per la particolare forza delle loro radici. Il legno durissimo ed elastico del ''bagolar'' è ideale per le fruste; quelle che un tempo servivano a spronare i cavalli da tiro. A Taio (val di Non) c'era una fabbrica di fruste nata nel 1830, la quale ha smesso la propria attività nel 1986; l’ultima rimasta in Italia. Chissà se le fruste utilizzate oggi a scopo dimostrativo sono di legno di ''bagolar''. Ogni tanto, d'estate, vedo dei giovanotti in abiti tirol-bavaresi intenti a far schioccare le fruste con lunghi lacci di cuoio (mi sembra).
Quand'eravamo piccoli andavamo in piazza a raccogliere e mangiare le “bagole” cadute a terra, ma non per fame, solo per assaggiare un gusto nuovo, dolciastro, caratteristico. Scommetto che in tempi di fame, magari oltre 150 anni fa, i bambini si sfamassero con quei piccoli frutti.
C'era poi quello che raccontava al bar una storiella inventata e qualcuno gli diceva ''Ma dai no sta contar bagole!!''. Tutto stava a capire se erano “Bagole de caora” o no; anzi , quelle le se ciama “chegole”.

NONNO BOSCHERI GIUSEPPE (1877-1964)

Era un uomo molto severo, non fumava, soffriva di gastrite, beveva pochissimo, molto lucido fino alla fine dei suoi giorni, aveva la miopia, ma vedeva molto lontano negli affari. Aveva molta campagna. Morì in modo accidentale, mentre scendeva le scale. Si inciampò nella corda della scarpa e cadde malamente fratturandosi il femore e dopo qualche mese si spense. Quand’era anziano mi confidava una sua massima ‘’zapo e zapo e quando so gio en font alla vigna le ciapo’’ ma questa è un’altra storia.
Nei giorni scorsi dopo una gita a Monticolo sono passato con la vettura davanti alla Rothoblaas e mi è venuto in mente una storia che lui mi raccontò quando avevo 11 anni circa.
Una delle campagne era proprio dove ora c’è la Rothoblaas. Tutte le campagne avevano un nome e questa si chiamava “Kleine messer’’ (picol careciar) probabilmente era una zona un po’ acquitrinosa adatta per coltivare il granoturco (zaldo). Quando scoppiò la Prima guerra mondiale nell’estate del 1914, mio nonno aveva 37 anni e ben 7 figli da accudire (in totale ebbero 10 figli di cui 7 raggiunsero l’età adulta). Ci fu la chiamata alle armi, ma nonno Bepi nicchiava nel presentarsi per essere arruolato, aveva una famiglia numerosa da accudire. Pensavano tutti che la guerra durasse solo qualche mese, ma lui non si fidava (aveva fatto da giovane 3 anni di militare ad Innsbruck). Trovava ogni scusa per non presentarsi… “non ci vedeva bene” … “soffriva allo stomaco” ecc. Nel frattempo, arrivavano brutte notizie dal fronte russo (Galiza oggi provincia polacca) in cui diversi Lagheri erano stati uccisi in battaglia e lì ci fu il panico totale. Per farla breve, viste le sue condizioni di famiglia e salute non proprio eccelsa, evitarono di mandarlo al fronte in un paese molto freddo; fu militarizzato comunque e lo spedirono a Bolzano per fare il secondino nelle carceri. Ogni tanto gli domandavo le cose che succedevano in quei luoghi e lui bonariamente me li raccontava, ma mia nonna che ascoltava, lo redarguiva dicendogli “Cossa ghe contes su al matelot?” Parlava di suicidi e quant’altro. Tornando al racconto, nonno Bepi faceva spesso i turni di notte nelle carceri. Infatti, doveva dividere il tempo tra il servizio, la famiglia numerosa e la coltivazione della campagna, quel poco che riusciva. Dopo cena prendeva la zappa, andava a piedi al Kleine Messer e zappava il “zalzo”. Quando sentiva il treno in partenza dalla stazione, nascondeva la zappa e prendeva il treno in corsa, lo attendeva in cima alla rampa e con un salto saliva sul predellino della carrozza. Ovviamente il treno a vapore di quei tempi era lento in ripresa ed in quel punto, circa 200/300 metri dalla stazione, la velocità del convoglio era penso di 20-30 km/h. Con questo sistema ottimizzava i tempi. Lui era orgoglioso nel dichiarare di non aver fatto mancare nulla alla propria famiglia. In quegli anni di guerra per i bambini, soprattutto la fame era il peggior nemico. Lui riusciva sempre a portar qualcosa di buono per i suoi piccoli: lo zucchero in blocchi o pani, sale o quant’altro di buono.

Foto: Nonno Beppi da militare (a destra con la divisa scura)

NONNA BEPPINA

Quand'ero adolescente l'argomento della sessualità era tabù. Se qualche adulto ne parlava e si accorgeva della nostra attenzione al riguardo, subito veniva lanciata la frase ''erba verda!!!'' e cambiavano discorso. Anche a casa mia c'era difficoltà di affrontare il problema; gli adulti erano reticenti, i dialoghi erano poveri e probabilmente non trovavano il modo e le parole per spiegarlo. Così si apprendeva qualcosa da quelli poco più grandi di noi e magari in modo distorto. Comunque ci siamo arrangiati.
Da adulto, mia madre ci narrava qualcosa in proposito ed un giorno si soffermò parlando di sua mamma, nonna Beppina, alla quale era affezionatissima. La nonna dopo sposata abitava in una casa singola vicino al vecchio pozzo e, molto devota, si recava spesso alla chiesa di S.Lorenzo per partecipare a alle funzioni religiose. La chiesa si sa, non è molto grande, ed il fumo d'incenso inondava l'ambiente del caratteristico profumo (se poi qualche chierichetto furbacchione, di nascosto del prete, faceva roteare a 360 gradi il turibolo il fumo toglieva anche la visibilità). Quando la nonna si avvicinava all'ingresso della chiesa capitava che le venissero dei conati di vomito, lei in silenzio diceva tra sé e sé “Oddio son incinta n'altra volta”. Pur di poter assistere alla celebrazione si appoggiava con i gomiti sul muretto (dove adesso c'è il cancelletto d'ingresso antistante la chiesa) e pregava il Signore. Più avanti nei mesi quel muretto le serviva come sostegno per il pancione in crescita. Nonna Beppina era molto devota all'Arcangelo Gabriele, portatore di grandi notizie quali ad esempio, come dice il vecchio testamento, l'annunciazione alla S. Maria Vergine della nascita di Gesù. Forse proprio per questo ai suoi due primi figli, diede il nome di Gabriele (1905) e Angelo (1906). Per diverso tempo ebbe un figlio ogni anno. Quella era l'usanza, l'anticoncezionale non veniva assolutamente praticato; era ...un delitto... e non si riceveva l'assoluzione dei peccati.
C'era una canzonetta che circolava ai miei tempi ed il ritornello diceva: ”Ogni an en bocia cresce la famiglia e cala la saccoccia”. Era una cosa ricorrente.

Foto: Nonna Beppina (con bicchiere in mano-1954)

TUTTI AL MARE... ALL'ADES VECIO

Come noto il laghetto vicino alla Stazione FS di Magrè viene chiamato così in quanto, fino al 1857, il fiume Adige passava in quel tratto. Il percorso del fiume fu modificato per ottenere più terra coltivabile ed anche per avere la nuova rete ferroviaria. Adesso quel laghetto è un biotopo, viene alimentato da sorgenti e fosse. Immaginiamoci la scena prospettata in settembre 1858, nel tratto Trento-Bolzano, al passaggio della prima locomotiva a carbone o legna, creando una forte emozione tra la popolazione nel sentire per la prima volta il fischio della locomotiva ed osservare una lunga scia di fumo denso lungo tutta la valle. Si pensi che nel luglio del 1859 (2a guerra d'indipendenza) in due giorni di battaglie cruente, nel Lombardo-Veneto tra l'esercito italo-francese ed austriaco ci furono decine di migliaia di soldati tra morti e feriti. Questo treno contribuì a velocizzare il rientro nella terra d'origine dei feriti per poterli curare in tempo.
Ma torniamo all' ''ades vecio''; era la nostra vasca da bagno, infatti in quegli anni non tutti avevano i servizi igienici e tanti andavano lì a lavarsi nel fine settimana. Noi ragazzi ci divertivamo a fare il bagno e nuotare. Se l'acqua era troppo fredda andavamo in uno stagno vicino che chiamavamo ''el piss de vecia''; lì l'acqua era molto bassa ed il sole la riscaldava prima.
Avevo conosciuto una ragazzina di Lione; soggiornava con i genitori da Pomella, il bar dietro alla stazione. A scuola oltre il tedesco studiavo il francese e mi esercitavo nel parlare con lei.
Un giorno, entrai in acqua e non avevo calcolato che il livello si era alzato sensibilmente a seguito di forti piogge; probabilmente volevo fare il figo, fatto sta che mi inciampai tra i giunchi (le canele) e non riuscivo a nuotare. Bevvi tantissimo e riuscii ad uscire a tentoni dall'acqua. Lei si mise a ridere; provavo un vergogna tremenda. Fu la prima volta che avevo una sensazione simile con una ragazza…in fondo c'è sempre una prima volta.

AVVENTURE DI BALLO

Avevo 16 anni circa, non conoscevo Laghere 'doc' per imparare a ballare. Quelle brave venivano da fuori; del detto...'' l'erba del paese vicino è sempre più verde''. C'erano ad esempio due sorelle di origine vicentina residenti a Laghetti in quel periodo molto brave ad insegnarci il valzer, il tango il rock and  roll ed il lento. Quest'ultimo nostro preferito; veniva chiamato il ballo della mattonella, si girava su se stessi con la ragazza senza mai spostarsi ed era il più eccitante, si sentiva il suo respiro all'orecchio, il profumo della pelle e le piccole vibrazioni del corpo con le mani sui fianchi e poi un po’ alla volta il guancia-guancia e poi...quando si volevano stringere al petto... ti piantavano di brutto i gomiti allo stomaco come dire... ''ades te esageri''. Se insistevi al chiedere di ballare ti rispondevano ''no go pu voia son straca'', fine dell'avventura.
Chi era timido ad esempio e non voleva arrivare impreparato con una ragazza, andava a lezione, a pagamento ovviamente, da un giovane di Laghetti molto bravo a ballare. Ma tornando a noi, la primavera, con i suoi profumi, era la stagione indicata per iniziare. Andavamo ad ascoltare le canzoni dotati di un giradischi portatile (dischi a 78 giri), allora un novità tecnologica. In quel locale, dove adesso mi sembra ci sia una palestra si incominciavamo e si perfezionava il ballo. Eravamo una bella compagnia; ci scatenavamo in modo anche disordinato con il rock and roll, sudavamo parecchio. Allora non c'erano i profumi dolcissimi di oggi era tutto ''nature''. Il problema era d'inverno. Per poter ballare al caldo bisognava invitare i propri amici in casa privata. A casa mia si organizzavano le festicciole, c'era una stufa ad ole in una stanza; le ragazze avevano sempre freddo. Credevamo di essere indisturbati, ma mia madre ogni tanto veniva a farci visita, il che ci rompeva. Eravamo quattro-cinque coppie, qualche maschio era sempre di troppo, allora per evitare controlli a sorpresa, c'era un addetto all'interruttore della luce. Quando si sentiva il cigolìo della maniglia....pronti... la luce si accendeva e così la facevamo franca. Le ragazze però, molto sensibili, si sentivano a disagio ed avevano paura di sentirsi dire ''quela lì l'è una poc de bon''. 

IL VINO E STORIE COLLEGATE

Il vino e sempre stata la bevanda alcolica preferita; anche la grappa ma solo nei mesi freddi. Non c'era grande assortimento di bevande nelle famiglie. Quando qualche uomo faceva visita da un amico, la donna di casa diceva: ”Voleo en grapin?! o “En bicerot de bon?” riferendosi al vino. Alle donne invece veniva offerto il classico “cafè bon”. Quest'ultima bevanda mentre la consumavano era accompagnata da tante “ciacere” e per non scottarsi la lingua, alcune versavano il caffè nel piattino in modo da raffreddarlo prima e lo bevevano da li, penso con un po’ di difficoltà.
In vino veritas, è un noto detto latino; infatti, c'erano delle persona astute che, invitando in cantina qualche individuo dedito all'alcol, riuscivano ad avere le informazioni utili per i propri interessi.
Di cantine ce n'erano tante in paese e specie nelle giornate piovose gli uomini trascorrevano nella semi oscurità ,molte ore, parlavano di affari ed ovviamente assaggiavano le diverse varietà di vino. Concludevano anche compravendite di campagne o case e quando la parola veniva data bisognava rispettarla. Sicché il più alticcio e magari fragile, ci rimetteva sempre. Poi c'erano le donne molto obbedienti, a quei tempi, che preparavano la polenta e contorno e lo portavano in cantina e così il “party” continuava fino a sera.
L'alcolismo era abbastanza diffuso e pure accettato per certi versi. C'era un detto femminile che diceva “se nol beve no l'è 'n om”. Come se il vino desse forza ...maschile.
Il vino era anche la consolazione dei delusi; capitava che qualche giovanotto avesse litigato con la ''morosa'' lo si vedeva al bar irriconoscibile. Si capiva subito cos'era successo. C'era chi diventava violento sotto i vapori dell'alcol e la barista si trovava purtroppo in difficoltà nel cercare di tranquillizzare il malcapitato barcollante, aggrappato al banco. Una cosa insopportabile era quella di dover ascoltare da vicino le parole senza senso di una persona così prostrata e dover pure annusarne l'odore emesso dal respiro.
Provavo un senso di compassione quando ad esempio vedevo qualche moglie, davanti a casa di Carletto Pintarelli in attesa che il proprio marito uscisse dal bar Enal per accompagnarlo a casa sicuramente alticcio e sentire delle parolacce inenarrabili nei confronti della propria donna.
Quelle donne erano veramente accondiscendenti nel dover sopportare situazioni simili.

VINO E STORIE CORRELATE - 2A PARTE -

Avevo conosciuto a Laghetti diversi alcolisti irriducibili.
Uno era l'Aquiloto, di origini venete, uomo di fatica dell'Albergo Marchiodi, lo vedevo sempre alterato. C'era poi el “Struka”. Non so se era di Cauria, portava sempre  tanti funghi col suo “ceston”. Noi ragazzi ci divertivamo ad offrirgli del vino in cambio di una sua “evviva” (era  invece aceto) e lui si arrabbiava e bestemmiava. Mi sembra che una volta un cacciatore lo aveva impallinato, scambiandolo per un capriolo, mentre raccoglieva funghi.
Invece un uomo di grande resistenza all'alcol era “El Lustro”. Lo chiamavano così perché quand'era...carico aveva gli occhi lucidi. Una sera uscì da una cantina, nevicava, era abbastanza carico, scivolò a terra , non riuscì ad alzarsi e si addormentò. Al mattino delle persone videro quel cumulo di neve; era lui, ancora vivo nonostante il freddo fosse intenso; probabilmente la neve gli fece da coperta, altrimenti l'ipotermia avrebbe preso il sopravvento. Visse ancora diversi anni. Infine, il più simpatico era Niccolò di origine trentina. Aveva sempre con sé una valigia o forse un baule da portare sulla schiena, cosiddetta “Kraizera” dei Klomeri adottata dai mocheni, abili venditori di mercerie ed oggetti vari. Detto Niccolò aveva sempre con se pure una fisarmonica. Per vendere le sue mercanzie si posizionava al di fuori della chiesa e richiamando l'attenzione delle pie donne suonava una nota canzone dedicata alla Madonna. Ad accompagnare la suonata c'era pure il suo pianto; piangeva e lacrimava in continuazione. Non si capiva se per commuovere la persone o...per crisi di astinenza....  dal vino.
Infine c'era in paese una persona a cui piaceva invitare molte persone nella propria cantina e far assaggiare loro le varie specialità. Questa persona aveva diversi vasi di oleandri e d'inverno li portava in cantina per evitarne il gelo. La cantina era abbastanza profonda e chiusa da una porta. Una sera, erano state invitate diverse persone, anche turiste forse tedesche. Ebbero inizio le varie bevute; quando tutti erano belli carichi, causa un temporale la luce si spense. Lui disse: ”Tranquilli ci penso io” e nel buio pesto  “dunque qui c'è la botte, qui il tino, qui gli oleandri e qui...la porta” e batté contro il muro. Continuò per diverse volte, a tentoni, nel pronunciare la solita frase, senza successo. La corrente non tornò. Solo al mattino, dopo aver sonnecchiato qualche ora, videro uno spiraglio di luce e con sorpresa notarono che la porta per uscire era al lato opposto.

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